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Dal 2016 in vigore le nuove disposizioni sulle co.co.co.

Il 1° gennaio del 2016 registra l’entrata in vigore di importanti disposizioni per le collaborazioni coordinate e continuative e più in generale per il lavoro autonomo. A seguito, infatti, dell’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2015, dal 25 giugno 2015 è stata abrogata la disciplina del contratto a progetto, fermo restando la possibilità di instaurare contratti di collaborazione coordinata e continuativa. In riferimento a tali rapporti di lavoro, a decorrere appunto dal 1° gennaio 2016, l’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 81/2015 prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

In virtù di tale disposizione, le collaborazioni vigenti al 1° gennaio 2016, a prescindere dalla data di instaurazione del rapporto, saranno soggette alla disciplina del lavoro subordinato se caratterizzate da una forte rilevanza dell’organizzazione del lavoro, in particolare per quanto riguarda i tempi e il luogo della prestazione. Al di là della tecnica legislativa utilizzata, troppo generica e imprecisa, è bene evidenziare che le collaborazioni di lavoro autonomo, anche se svolte con partita IVA, rischiano di vedersi aumentare il relativo costo e applicare disposizioni non regolamentate dal rapporto e derivate dal lavoro subordinato, nel caso in cui la prestazione sia svolta presso un luogo definito dal committente e nei tempi sempre dallo stesso previsti. Anche se sostanzialmente non si tratterà di lavoro subordinato, e a tale contratto non potranno essere ricondotte, fermo restando il carattere autonomo delle collaborazioni, la disciplina applicabile sarà quella del lavoro subordinato, sia a livello retributivo, con minimi TFR e mensilità aggiuntive, sia contributivo, sia normativo.

I forti dubbi interpretativi sorti avrebbero richiesto un intervento in via di prassi da parte del Ministero del Lavoro, almeno per aver la certezza che gli interventi ispettivi sulla materia seguiranno principi stabili e uniformi: al momento nulla è stato emanato, segno probabilmente delle difficoltà interpretative e di volontà politiche probabilmente divergenti.

Sono escluse da tale disposizione le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione ad albi professionali, le collaborazioni regolamentate da contratti collettivi nazionali, le collaborazioni prestate da amministratori e partecipanti a collegi e commissioni di società, le collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, oltre alla possibilità di certificare presso apposite commissioni l’assenza dei requisiti di etero-organizzazione che fanno scattare l’applicazione del lavoro subordinato.

 

È bene quindi prestare attenzione alle collaborazioni ricorrenti negli studi professionali: solo l’iscrizione all’albo salva dall’applicazione delle regole del lavoro subordinato, purché siano qualificabili come rapporti di lavoro autonomo. Se, viceversa, il collaboratore non è iscritto ad un albo, potrà vantare tutti i diritti del lavoro subordinato, di carattere economico, normativo, con un notevole aumento del costo relativo al personale.

Al fine di incentivare le trasformazioni di collaborazioni di natura autonoma a rischio di riqualificazione come subordinate, o comunque che possono essere considerate etero-organizzate, l’art. 54 del D.Lgs. 81/2015 prevede una procedura di stabilizzazione, attiva dal 2016, con assunzione a tempo indeterminato e garanzia di occupazione per dodici mesi, mediante atti di conciliazione sottoscritti in sede protetta. La stabilizzazione comporterà l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente l’assunzione.

La stabilizzazione è compatibile, in attesa di conferme ufficiali da parte dell’INPS, con l’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato, nel 2016 biennale e con il limite più che dimezzato, rispetto al 2015, pari a 3.250 euro.

 

 

Fonte: Euroconference del 30/12/2015

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Si espande la postergazione dei crediti dei soci per finanziamenti

La giurisprudenza si è negli ultimi mesi interessata in modo piuttosto frequente alla fattispecie della postergazione dei crediti vantati dai soci nei confronti della società a fronte di finanziamenti erogati in situazioni di squilibrio finanziario oppure in una situazione in cui sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento (art. 2467, cod.civ.).

In primo luogo, un importante recente arresto della Corte di Cassazione (sentenza n. 14056/2015) porta ad estendere l’applicazione del precetto – oltre che alle Srl ed alle società soggette alla direzione e coordinamento – anche alle società azionarie quando queste sono caratterizzate da una “ristretta base societaria”; viene quindi confermato un certo filone giurisprudenziale che già si era da tempo manifestato, seppure questo approccio non sia condiviso appieno in dottrina – in senso contrario, si veda Assonime n. 40/2007.

A questo riguardo, anche il Tribunale di Milano (sentenza n. 9104/2015) segue l’indirizzo interpretativo estensivo fatto proprio dalla Cassazione nella suddetta sentenza, seppure specificando che ai fini dell’innesco della postergazione del credito del socio sarebbe necessaria una situazione di specifica crisi della società, e non una tensione finanziaria temporanea.

Le condizioni apprezzate dai Giudici milanesi ai fini dell’applicazione della postergazione dei crediti dei soci anche alle Spa sono essenzialmente le seguenti:

– presenza di una base azionaria familiare

– coincidenza fra la figura dei soci e quella degli amministratori

– capacità del socio di poter cogliere in modo compiuto l’esistenza di una situazione di adeguata, o inadeguata, capitalizzazione della società.

Ulteriore aspetto di comune interesse attiene alla natura del credito che può essere oggetto della postergazione. Il Tribunale di Reggio Emilia (decreto del 10 giugno 2015) ha affermato che i finanziamenti che ricadono nella disciplina dell’articolo 2467, cod.civ., “non sono solo quelli derivanti da meri trasferimenti di danaro infragruppo, ma anche da rapporti diversi, quali ad esempio quelli di fornitura di merci e di servizi, qualora si accerti in concreto che le forniture di beni, di servizi, o l’erogazione di altre utilità, abbiano assolto – sotto il profilo finanziario – alla stessa funzione della dazione di danaro”.

Infine, l’ampliamento delle casistiche di applicazione della postergazione dei finanziamenti dei soci ha riguardato di recente anche il caso delle imprese cd. “start up” (Tribunale di Milano, sentenza n. 1658/2015).

Secondo questa linea interpretativa, la postergazione opererebbe non solo qualora la società versi in una condizione di crisi strutturale, bensì anche quando si manifesti uno stato di oggettiva insufficienza delle risorse disponibili rispetto all’assolvimento delle proprie obbligazioni.

Si tratta evidentemente di una tipica situazione che ricorre nelle fasi iniziali dell’esistenza della società, quando usualmente i finanziamenti erogati dai soci sono volti a supportare l’avvio dell’attività; peraltro, la postergazione del credito riguarderebbe la posizione del socio creditore anche nella eventualità in cui, al momento della richiesta di restituzione delle somme, questi non rivestisse più tale posizione. Infatti, la fuoriuscita dalla compagine sociale non comporterebbe l’automatico venir meno dell’innesco della postergazione del credito dell’ex socio, poiché la ratio della norma è quella di salvaguardare la posizione dei creditori terzi dell’impresa, a prescindere dalle vicende modificative della composizione dei socie della società.

 

 

Fonte: Euroconference del 31/12/2015

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Patrimonio successioni

Ai fini della valutazione del patrimonio societario e degli effetti in materia di successione, il documento rilevante è rappresentato dall’ultimo bilancio depositato

 

Fonte: sentenza Cassazione 11.12.2015 n.25008

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Credito d’imposta assunzione personale qualificato

Con il Decreto citato, sono state fissate le modalità di presentazione delle istanze per la richiesta del credito di imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato, istituito dall’articolo 24, D.L. n. 83/2012. Le istanze potranno essere presentate in modalità telematica dal 10.01.2016 con la procedura accessibile dal sito www.cipaq@mise.gov.it

 

Fonte: News Fenalca tratto da Decreto MISE 28.07.2014

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Cartelle via PEC

Dal 01.06.2016, le notifiche delle cartelle esattoriali in caso di imprese individuali o societarie, nonché di professionisti iscritti in Albi o elenchi, avverranno esclusivamente con modalità telematiche. Per le persone fisiche (privati) intestatarie di una casella di Posta Elettronica Certificata, occorrerà, invece, l’espressa richiesta del contribuente essendo prevista la facoltatività di ricezione delle cartelle esattoriali attraverso la mail certificata rispetto alla comunicazione cartacea

 

Fonte: News Fenalca tratto da Sole 24 Ore del 10.12.2015

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Aspetti fiscali del recesso da società di capitali

La riapertura dei termini per la rivalutazione delle quote di partecipazione in società prevista dal disegno di legge di stabilità 2016 non consente di affrancare il costo fiscale della partecipazione in caso di recesso del socio persona fisica dalla società. Nella disciplina civilistica delle società di capitali (articolo 2437 e seguenti per le spa, ed articolo 2473 per le srl), sono previste numerose fattispecie al ricorrere della quali il socio è legittimato ad esercitare il diritto di recesso, con conseguente liquidazione del valore della quota del socio tramite utilizzo del patrimonio netto della società.

 

La quota di capitale liquidata al socio uscente è accresciuta ai soci “superstiti”. In altre parole, l’uscita del socio dalla società può avvenire principalmente tramite due modalità:

  • recesso “tipico”, previsto al ricorrere delle fattispecie indicate nelle già citate disposizioni del codice civile, che comporta il rimborso del valore della quota al socio con utilizzo di risorse della società (attingendo dalle riserve di patrimonio netto);
  • recesso “atipico”, che deriva dalla cessione della partecipazione del socio uscente ai soci “superstiti” ovvero ad un terzo estraneo alla compagine sociale. In tale ipotesi, il patrimonio netto della società non è in alcun modo intaccato, poiché l’operazione avviene direttamente tra il socio uscente e quello subentrante, incidendo quindi sulle loro posizioni patrimoniali.

È bene precisare che nell’ambito delle disposizioni civilistiche che regolano il recesso “tipico”, il legislatore richiede necessariamente che, prima di procedere alla liquidazione della quota al socio uscente, gli amministratori offrano le azioni o le quote del socio uscente agli altri soci (in proporzione alle loro quote di partecipazione), ovvero a soggetti terzi estranei alla compagine sociale. Solamente in caso di esito negativo di tali offerte, è possibile procedere alla liquidazione del valore della quota del socio recedente, utilizzando le riserve presenti nel patrimonio netto. Dal punto di vista fiscale, la natura del reddito percepito dal socio uscente (persona fisica) dipende dalle modalità di uscita dello stesso dalla società, e più precisamente:

  • in caso di recesso “tipico”, il socio realizza un reddito di capitale ai sensi dell’articolo 47, comma 7, del Tuir, pari alla differenza tra corrispettivo percepito per la liquidazione della quota e costo fiscale della stessa. Si tratta quindi di un dividendo tassato secondo le regole previste dallo stesso articolo 47 del Tuir (tassazione “secca” del 26% in presenza di partecipazione non qualificata, o tassazione ordinaria del 49,72% del dividendo percepito in caso di partecipazione qualificata), rilevante nel periodo d’imposta in cui il reddito stesso è percepito. È bene evidenziare che l’eccedenza in questione assume in ogni caso la natura di reddito di capitale anche se le somme da attribuire al socio recedente sono prelevate dalle riserve di capitale (circolare 16.6.20014, n. 26/E);
  • in caso di recesso “atipico”, il socio realizza un reddito diverso di cui all’articolo 67, lett. c) e c-bis), del Tuir (capital gain), pari alla differenza tra corrispettivo percepito e costo fiscale della partecipazione (tassazione “secca” del 26% in presenza di partecipazione non qualificata, o tassazione ordinaria del 49,72% del reddito percepito in caso di partecipazione qualificata). Al pari dei redditi di capitale, anche quello in questione è tassato in base al principio di cassa nel periodo d’imposta in cui lo stesso è percepito.

Nel confronto tra le due “opzioni” di recesso, il primo aspetto che assume particolare rilievo riguarda la determinazione del costo fiscale della partecipazione da contrapporre al valore percepito dal realizzo della partecipazione, poiché come rilevato nella circolare n. 10/E/2005 e nella successiva n. 16/E/2005 l’eventuale rivalutazione del costo fiscale della partecipazione con il versamento dell’imposta sostitutiva rileva ai soli fini della determinazione dei redditi diversi di cui all’articolo 67, lett. c) e c-bis), del Tuir. In altre parole, il socio che esce dalla società con il recesso “tipico”, poiché realizza un reddito di capitale, non può contrapporre al valore percepito il costo fiscale che deriva a seguito della rivalutazione della quota con il pagamento della predetta imposta sostituiva, ma deve aver riguardo al costo della partecipazione esistente prima di aver eseguito la rivalutazione stessa. Il secondo aspetto da evidenziare riguarda l’eventuale recesso in perdita, che si realizza laddove la somma percepita a fronte dell’uscita dalla compagine sociale sia inferiore al costo fiscale della partecipazione. In tale ipotesi, infatti, il recesso “atipico” consente di realizzare una minusvalenza utilizzabile secondo le regole del capital gain, ossia a scomputo di eventuali plusvalenze della stessa natura realizzate nell’anno stesso, ovvero riportabile nei cinque anni successivi ad abbattimento di eventuali future plusvalenze. Tale regola trova un’eccezione nell’ipotesi in cui la minusvalenza derivi dalla cessione della partecipazione ad un corrispettivo inferiore rispetto a quello rivalutato, poiché in tale ipotesi la minusvalenza stessa non può essere utilizzata in base alle regole descritte. Al contrario, il recesso “tipico” in perdita non determina alcuna possibilità di utilizzo o di riporto della “perdita” stessa, poiché non assume alcuna rilevanza fiscale.

 

Fonte: Euroconference del 11 dicembre 2015

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Possibile esonero dei medici dagli obblighi di fatturazione elettronica

I medici di medicina generale, operanti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e destinatari di cedolini aventi determinati requisiti, sono esonerati dagli obblighi di fatturazione elettronica. Questo è quanto affermato ieri dall’Agenzia delle entrate con la Risoluzione n. 98/E/2015.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria, rispondendo ad un quesito posto dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), ha ricordato innanzitutto la piena equiparazione delle fatture elettroniche con quelle analogiche, in quanto le prime non fanno parte di una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura “ordinaria”. Così, pur nel limite della compatibilità con gli elementi caratterizzanti, per le fatture elettroniche continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti emanati in precedenza, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore, sia per quanto riguarda i privati sia per le pubbliche Amministrazioni.

Con particolare riferimento alla fatturazione della pubblica Amministrazione, ha precisato l’Agenzia delle entrate, le disposizioni emanate con la Legge 244/2007, al pari dei provvedimenti attuativi, non hanno introdotto nuove ipotesi di operazioni soggette ad obbligo di fatturazione, ex articolo 21 D.P.R. 633/1972, né abrogato le disposizioni previgenti che già consentivano forme alternative di documentazione delle operazioni imponibili, ex articoli 22 e 73 D.P.R. 633/1972. Di conseguenza, laddove l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima delle nuove disposizioni in materia di fatturazione elettronica, di cui al D.M. 55/2013, così tale obbligo continua a non esistere e, tanto meno, può essere previsto un obbligo per la sola forma elettronica.

Quindi devono ritenersi ancora valide le indicazioni contenute nell’articolo 2 D.M. 31 ottobre 1974, in base al quale “nei rapporti tra gli esercenti la professione sanitaria e gli enti mutualistici per prestazioni medico-sanitarie generiche e specialistiche, il foglio di liquidazione dei corrispettivi compilato dai detti enti tiene luogo della fattura di cui all’art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Tale documento deve contenere gli elementi e i dati indicati nel secondo comma del citato art. 21 ed essere emesso in triplice esemplare; il primo deve essere consegnato o spedito al professionista unitamente ai corrispettivi liquidati, il secondo consegnato o spedito all’ufficio provinciale della imposta sul valore aggiunto competente ai sensi dell’art. 40 del citato decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il terzo conservato presso l’ente”.

Alla luce del quadro normativo attualmente vigente e della specifica disposizione appena richiamata, per le prestazioni medico-sanitarie svolte dai medici in favore dei vari enti mutualistici non è obbligatoria l’emissione della fattura elettronica.
In particolare, il foglio di liquidazione dei corrispettivi (cedolino) pervenuto dalle Asl, redatto in triplice esemplare e con gli elementi ed i dati previsti dall’articolo 21, secondo comma, D.P.R. 633/1972, sostituisce in tutto e per tutto la fattura evitando un inutile aggravio di adempimento in capo ai medici coinvolti.

 

Fonte : Euroconference del 26/11/2015

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Le attestazioni scritte nel lavoro di revisione contabile

Il Principio di revisione ISA Italia 580 tratta della responsabilità del revisore nell’acquisire le attestazioni scritte della direzione e, quando ritenuto appropriato, dei responsabili dell’attività di governance della società.
Le attestazioni della direzione sono una procedura con cui il revisore chiede al legale rappresentante della società, o comunque ad un soggetto che ha un appropriato livello di responsabilità sul bilancio e una conoscenza dei temi in discussione, alcune specifiche informazioni e conferme seguendo uno standard scritto.

Si tratta di informazioni che riguardano il periodo coperto dal bilancio oggetto di revisione, ma che includono anche gli eventi successivi al bilancio stesso, fino alla data della relazione del revisore; infatti, l’attestazione scritta dovrebbe avere la medesima data della relazione del revisore.

Il revisore deve quindi richiedere alla direzione di fornire attestazione scritta sul fatto che:
– Essa ha adempiuto agli obblighi di redazione del bilancio in conformità al quadro normativo di riferimento;
– Ha fornito al revisore tutte le informazioni pertinenti consentendone l’accesso;
– Tutte le operazioni sono state registrate e sono riflesse nel bilancio.

Le attestazioni della direzione sono infatti da annoverare tra gli elementi probativi del processo di revisione, anche se da sole non possono essere trattate come evidenze sufficienti e appropriate sugli aspetti cui si riferiscono. Non possono cioè sostituire altri elementi probativi che devono essere acquisiti con altre procedure di revisione.
Come indicato al par. A26 delle Linee Guida del Principio ISA Italia 580, se il revisore conclude che le attestazioni scritte non sono attendibili oppure se la direzione non ritiene di firmarle, il revisore non può concludere di aver acquisito elementi probativi sufficienti e appropriati. Tale carenza del processo di revisione è ritenuta pervasiva, e quindi non si limita a interessare singoli elementi, conti o voci del bilancio.

Il Principio di revisione richiede in tali circostanze al revisore di dichiarare nella relazione di revisione l’impossibilità di esprimere un giudizio sul bilancio. Il Principio di revisione esamina anche il caso limite in cui le attestazioni fornite dalla direzione siano contraddette dai risultati di altre procedure. In questi casi, il revisore deve approfondire la circostanza e considerare più in generale l’affidabilità delle attestazioni ottenute sul tema specifico o anche nel loro complesso. Il Principio di revisione indica inoltre che il revisore deve richiedere alla direzione un’attestazione scritta se essa ritenga che gli effetti degli errori non corretti, considerati singolarmente o nel loro insieme, non siano significativi per il bilancio nel suo complesso. Proprio per documentare tale passaggio, un riepilogo di tali errori non corretti deve essere incluso nell’attestazione scritta oppure allegato ad essa. In sostanza, la lettera di attestazione dovrebbe includere una sorta di presa d’atto da parte della direzione di tutti gli errori identificati dal revisore, diversi da quelli chiaramente trascurabili o sotto soglia, che comunque non sono riportati nella relazione finale sul bilancio non essendo così significativi.
L’Appendice del Principio di revisione ISA Italia 580 contiene un esempio di Lettera di attestazione scritta.
Peraltro, un utile standard di riferimento nella prassi professionale, è sempre stato rappresentato dal modello di attestazione scritta riportato nel Documento di ricerca Assirevi n. 167.

 

Fonte : tratto da Euroconference del 26/11/2015

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La rilevazione dei contributi in conto esercizio relativi a rimanenze

Tra le principali novità dell’OIC 13, che definisce i criteri per la rilevazione, la classificazione e la valutazione delle rimanenze di magazzino, vi è senza dubbio la disciplina relativa al trattamento contabile dei contributi in conto esercizio relativi all’acquisto di rimanenze, che secondo le indicazioni fornite nel nuovo documento di prassi contabile, ai fini della loro valutazione “vanno portati in deduzione al costo d’acquisto dei materiali”.
Per la corretta classificazione degli importi a conto economico il principio contabile precisa che:
– i contributi in conto esercizio vanno indicati separatamente nella voce A5 del conto economico tra gli “altri ricavi e proventi”, in linea con quanto espressamente previsto dall’articolo 2425 del codice civile. I contributi in conto esercizio infatti, in quanto generalmente finalizzati alla riduzione dei costi correnti di gestione (o all’integrazione dei corrispettivi), vanno rilevati in un’apposita sottovoce della voce A.5 di conto economico per competenza nell’esercizio in cui in cui sorge con certezza il diritto a percepirli (viene esclusa quindi qualsiasi ipotesi di compensazione e viene imposta la loro contabilizzazione tra gli altri proventi e ricavi a conto economico);
– i costi sostenuti per gli acquisti di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci vanno rilevati tra i costi di produzione, alla voce B6 del conto economico, al lordo dei contributi in conto esercizio ricevuti per tali acquisti;
– la variazione delle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti va indicata rispettivamente nelle voci B11 “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e merci” o A2 “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti” del conto economico, al netto dei contributi ricevuti.
È proprio in tale ultima indicazione che è racchiusa la novità contenuta nella nuova versione del principio contabile in quanto, nella sua versione precedente, non veniva chiarito, nel caso in cui i beni acquistati con l’ausilio di contributi fossero ancora in giacenza alla chiusura dell’esercizio, se si dovesse considerare nella valutazione delle rimanenze finali il costo al lordo o al netto del contributo correlato.  Già la Consob con la comunicazione n. DAC/RM/96003727 del 24 aprile 1996 aveva espresso un parere sul tema del trattamento dei contributi in conto esercizio ricevuti da un’impresa per l’acquisto di materie prime precisando che, affinché la valutazione sia espressiva del costo effettivamente sostenuto e per evitare ingiustificati effetti sul risultato del periodo, le rimanenze di tali beni dovessero essere assunte al netto del contributo in conto esercizio ricevuto.

Si consideri il seguente esempio.

Si ipotizzi che un’impresa abbia acquistato nell’esercizio merci per euro 10.000 ed abbia beneficiato di un contributo in conto esercizio finalizzato all’acquisto di tali beni per euro 1.000. Seguendo le indicazioni fornite dall’OIC 13 le rilevazioni contabili (si prescinde dall’esposizione a livello contabile dell’Iva) saranno le seguenti:
– per l’acquisto della merce: d CE B.6 Costo per l’acquisto di merci a SP D.7 Debiti verso fornitori 10.000
– per la rilevazione del contributo in conto esercizio: d SP C.II.5 Crediti verso ente erogante a CE A.5 Contributo in conto esercizio 1.000
Ipotizzando che alla chiusura dell’esercizio la società non abbia ancora venduto le merci acquistate, sarà necessario rilevare le rimanenze finali di merci il cui costo dovrà essere valorizzato in euro 9.000, iscrivendo nella variazione delle rimanenze alla voce B.11 del conto economico il valore del costo sostenuto al netto del contributo ricevuto.

La scrittura contabile sarà pertanto la seguente: d SP C.I.1 Materie prime a CE B.11 Variazione rimanenze materie prime 9.000
Attraverso questa procedura contabile si ottiene la sospensione dei costi effettivamente sostenuti, ovvero quelli al netto del contributo in conto esercizio; nel caso in cui si fossero valorizzate le rimanenze al costo d’acquisto al lordo del contributo, quindi non in base al costo effettivamente sostenuto, sarebbe emerso un ingiustificato utile d’esercizio pari ad euro 1.000 corrispondente all’intero contributo, mentre negli esercizi successivi, all’atto della vendita delle merci, si sarebbe conseguito un utile pari all’utile che si sarebbe conseguito in assenza del contributo, penalizzando quindi il risultato di quel periodo.

 

Fonte : tratto da Euroconference del 24/11/2015

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Micro Imprese

Il D.lgs. n. 139/2015 ha introdotto la categoria delle micro imprese, ossia delle società che non superano
i seguenti parametri:

• un attivo patrimoniale di euro 175.000;
• ricavi netti per euro 350.000;
• 5 dipendenti.

Si tratta di una sottocategoria delle società che possono redigere il bilancio abbreviato e, quindi,
non devono aver emesso titoli negoziati in mercati regolamentati.

Le micro imprese sono esonerate dalla compilazione della Nota Integrativa, dal rendiconto finanziario e dalla relazione sulla gestione

 

Fonte: News Fenalca – tratto da ITALIA OGGI del 16/11/2015

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