Archives for Gennaio 2017

La rottamazione dei tributi locali

È noto che, oltre alle cartelle di pagamento riguardanti imposte dirette e indirette, possono essere oggetto di rottamazione anche i ruoli riferiti ai tributi locali e alle violazioni del codice della strada; per questi ultimi è doveroso segnalare che la c.d. “rottamazione” è limitata agli interessi.

Per quanto riguarda i tributi locali, la rottamazione è sicuramente ammessa quando la relativa riscossione è affidata ad Equitalia. Dal punto di vista oggettivo, l’articolo 6 D.L. 193/2016 prevede la rottamazione di tutti i crediti comunali:

1. sia di natura tributaria, quali ad esempio Imu, Ici, Tasi, Tares, Tarsu, ecc.;

2. sia di natura patrimoniale, quali ad esempio i ruoli per il mancato pagamento di mense scolastiche, trasporti, ecc..

Al pari delle altre fattispecie, ai debitori è consentita l’estinzione del proprio debito senza il pagamento delle sanzione e degli interessi di mora.

Anche sotto il profilo procedurale si ravvisa una perfetta coincidenza. Infatti, il Comune nel caso di affidamento della riscossione ad Equitalia riveste il ruolo di spettatore inerme, nel senso che la norma in commento determina un vero e proprio “sorpasso” arbitrario di tutti quei Comuni che hanno adottato la citata scelta per la riscossione in luogo del procedimento di ingiunzione diretta. Sul punto, infatti, si ricorda che il ruolo e il procedimento d’ingiunzione rappresentano due modalità di riscossione differenti a disposizione degli Enti locali, dove il primo – il ruolo – rappresenta lo strumento sicuramente più celere ed efficace.

In definitiva, i Comuni che hanno deciso di affidarsi all’Agente delle riscossione – Equitalia – per la riscossione di somme di derivazione locale devono procedere con la rottamazione delle sanzioni e degli interessi di mora relativi a tutti i tributi locali iscritti a ruolo tra il 2000 e il 2016, con una gestione diretta da parte di Equitalia.

In sede di conversione del D.L. 193/2016, il Legislatore ha approvato un emendamento con cui è stata estesa la rottamazione anche ai Comuni ed agli altri Enti locali (circa 4.500) che riscuotono le somme loro spettanti attraverso l’ingiunzione di pagamento e non solo attraverso il ruolo.

Dal punto di vista normativo, il nuovo articolo 6-ter D.L. 193/2016, rubricato “Definizione agevolata delle entrate regionali e degli enti locali”, così dispone:

“1. Con riferimento alle entrate,  anche tributarie, delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, notificati, degli anni dal 2000 al 2016, dagli enti stessi e dai concessionari della riscossione di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i medesimi enti territoriali possono stabilire, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate stesse, l’esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate. Gli enti territoriali, entro trenta giorni, danno notizia dell’adozione dell’atto di cui al primo periodo mediante pubblicazione nel proprio sito internet istituzionale.

2. Con il provvedimento di cui al comma 1 gli enti territoriali stabiliscono anche:

a. il numero di rate e la relativa scadenza, che non può superare il 30 settembre 2018;

b. le modalità con cui il debitore manifesta la sua volontà di avvalersi della definizione agevolata;

c. i termini per la presentazione dell’istanza in cui il debitore indica il numero di rate con il quale intende effettuare il pagamento, nonché la pendenza di giudizi aventi a oggetto i debiti cui si riferisce l’istanza stessa, assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi;

d. il termine entro il quale l’ente territoriale o il concessionario della riscossione trasmette ai debitori la comunicazione nella quale sono indicati l’ammontare complessivo delle somme dovute per la definizione agevolata, quello delle singole rate e la scadenza delle stesse.

3. A seguito della presentazione dell’istanza, sono sospesi i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto di tale istanza.

4. In caso di mancato, insufficiente o tardivo versamento dell’unica rata ovvero di una delle rate in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme, la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto dell’istanza.  In tale caso, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto.

5. Si applicano i commi 10 e 11 dell’articolo 6.

6. Per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano l’attuazione delle disposizioni del presente articolo avviene in conformità e compatibilmente con le forme e con le condizioni di speciale autonomia previste dai rispettivi statuti”.

Dall’analisi della riportata disposizione normativa emerge quindi che anche gli Enti locali che hanno intrapreso la strada delle riscossione mediante l’ingiunzione possono scegliere di applicare la procedura della rottamazione in relazione ai provvedimenti notificati tra il 2000 e il 2016. In tal caso, le modalità di definizione sono rimesse agli stessi Enti locali, mediante apposito “regolamento” da emanarsi entro 60 giorni dal 1° dicembre 2016, data di conversione el D.L. 193/2016.

Fonte Euroconference del 10 gennaio 2017

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Criteri di rettifica del valore di Avviamento

Nel contestare che la rideterminazione del valore di avviamento sulla base di un determinato criterio non rappresenti idonea motivazione al fine di destituire di fondamento il valore dichiarato, non bisogna confondere tra motivazione e prova. Anche se il metodo di cui al DPR 460/96 è stato abrogato, viene lasciata piena libertà agli Uffici nell’adottare i criteri più idonei alla rappresentazione del veritiero valore di avviamento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24939 del 06.12.2016, ha chiarito quali sono i criteri legittimamente utilizzabili ai fini della rettifica del valore di avviamento.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in riforma della decisione di primo grado, respingeva il ricorso promosso dal contribuente contro l’avviso con il quale veniva rettificato il valore d’avviamento dell’azienda ereditata e per l’effetto liquidata una maggiore imposta di successione.

Il contribuente proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, che la CTR non si era pronunciata sulla illegittimità degli avvisi di accertamento conseguente all’eccepita abrogazione del D.P.R. 31.7.1996 n. 460.

Il motivo di impugnazione, secondo i giudici di legittimità, era infondato, atteso che il giudice di secondo grado aveva implicitamente stabilito che l’avviso non poteva giudicarsi nullo, perché per la determinazione del valore dell’avviamento l’ufficio aveva esattamente e legittimamente utilizzato la presunzione contenuta nell’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit. (cfr Cass. sez. lav. n. 1360 del 2016; Cass. sez. III n. 4079 del 2005).

Il motivo di censura era inoltre considerato dalla medesima Corte comunque inammissibile, perché, in realtà, il contribuente non lamentava un vizio motivazionale circa l’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto decisivo e controverso, bensì rimproverava la CTR di non aver spiegato, in diritto, l’applicabilità dell’art. 2, comma 4.  D.P.R. n. 460 cit.

Anche l’altro motivo di ricorso, per asserita violazione delle norme di cui agli artt. 51 D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 15 D.Lgs. 31.10.1990 n. 346, dato che, secondo il ricorrente, ai fini delle imposte di registro e successioni, il valore dell’azienda deve essere «quello venale di comune commercio», laddove «l’algoritmo adottato» ex art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit. non teneva per esempio conto delle variazioni economiche reddituali  verificatesi nel tempo, secondo la Corte, era infondato.

Secondo i giudici di legittimità, invece, la CTR aveva gravato espressamente l’amministrazione dell’onere di provare il valore dell’avviamento, semplicemente poi ritenendo che l’ufficio avesse fornito la prova richiesta sulla scorta della presunzione di cui all’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 cit.

Nell’ambito dei giudizi instaurati avverso avvisi di rettifica, relativi alla maggiore imposta di registro accertata sul valore di avviamento di un’azienda oggetto di cessione, viene spesso imputata agli Uffici dell’Amministrazione la “colpa” di non adottare criteri idonei ad una sua oggettiva valorizzazione.

Come però fa capire anche la sentenza in commento, nel contestare che la rideterminazione del valore di avviamento sulla base di un determinato criterio non rappresenti idonea motivazione al fine di destituire di fondamento il valore dichiarato, non bisogna confondere tra motivazione e prova, laddove, se la modalità adottata dall’Ufficio nella determinazione del valore accertato sia idonea o meno, non attiene alla sufficienza o meno della motivazione, ma, semmai, alla sufficienza o meno della prova e quindi al merito della controversia (non censurabile in sede di legittimità).

Del resto, anche se il metodo di cui al DPR 460/96 è stato abrogato, viene lasciata però piena libertà agli Uffici nell’adottare i criteri più idonei alla rappresentazione del veritiero valore di avviamento (sempre comunque soggetti al vaglio di ragionevolezza delle Commissioni Tributarie).

Come a tutti noto, peraltro, l’avviamento non deve corrispondere alla redditività effettiva, ma alla redditività attesa dell’azienda. Il concetto di avviamento è dunque un concetto oggettivo, legato alle caratteristiche dell’azienda ceduta e non legato invece a eventuali giustificazioni soggettive del cedente.

Per valutare la congruità del valore di avviamento dichiarato dalle parti, l’Ufficio, tra i principali metodi di valutazione proposti dalla dottrina aziendalistica (metodo analiticopatrimoniale, metodo sintetico-reddituale, metodo misto patrimoniale-reddituale, metodo delle società comparabili, metodo del Market Value Added, metodo finanziario) di solito utilizza quello analitico – patrimoniale, determinando tale valore calcolando la media dei ricavi dei tre anni precedenti la vendita e successivamente aumentando tale media della percentuale che è comunemente applicata nel commercio per le vendite di esercizi commerciali di quel tipo ed in quella zona.

A tal fine viene di solito richiamato il listino dei prezzi delle aziende, edito dal Collegio degli Agenti di Affari in Mediazione, che fornisce il moltiplicatore che l’Ufficio utilizza per il calcolo.

E che del resto l’indicazione della metodologia di calcolo (dell’avviamento) basti ad assolvere all’obbligo di motivazione gravante sull’Ufficio è stato ormai più volte confermato anche dalla giurisprudenza.

Anche a fronte di tale orientamento giurisprudenziale, dunque, non può dubitarsi circa la validità della motivazione, laddove l’Ufficio abbia esplicitato la metodologia utilizzata, così da permettere al contribuente di esserne a conoscenza, di esercitare il proprio diritto e di opporsi laddove ritenga illegittima la rettifica.

Fonte Euroconference del  09.01.2017

 

 

 

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Finanziamenti soci: bilancio e postergazione

I prestiti dei partecipanti effettuati a favore delle S.r.l. sono disciplinati dall’articolo 2467 cod.civ., secondo cui il rimborso è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. Il criterio descritto opera nei confronti dei finanziamenti effettuati, in qualsiasi forma, dai componenti la compagine sociale, in uno dei seguenti contesti:

  • in un momento in cui, anche in considerazione del particolare tipo di attività esercitata dalla partecipata, risultava un indebitamento eccessivo, se rapportato al patrimonio netto;
  • in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole eseguire un conferimento, anziché un mero finanziamento.

Il predetto principio di postergazione opera, inoltre, nell’ambito dei gruppi di imprese, per effetto del richiamo operato dall’articolo 2497-quinquies cod. civ., con riferimento ai finanziamenti effettuati a favore della società, da parte di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti, ovvero da altri soggetti ad esso sottoposti. Per quanto concerne, invece, la situazione delle S.p.a., non è prevista una specifica disposizione in materia di finanziamento degli azionisti: con l’effetto che – tenuto conto dell’autonoma e distinta normativa di riferimento, rispetto alle S.r.l. – se ne dovrebbe desumere l’esclusione dal campo di applicazione dell’articolo 2467 del codice civile. Tale orientamento incontra, tuttavia, un limite nel citato articolo 2497-quinquies cod. civ., che estende il principio di postergazione ai finanziamenti infragruppo ricevuti da una S.p.a. soggetta all’attività di direzione e coordinamento. Una complessiva valutazione di ordine logico-sistematico induce, pertanto, a preferire la tesi dell’estensione dell’articolo 2467 cod. civ.: non sussistono, infatti, valide motivazioni per riconoscere un trattamento differenziato, e meno favorevole, ai finanziamenti dei soci di una S.r.l., rispetto a quelli di una S.p.a. in forma chiusa, in presenza delle medesime condizioni di disequilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure della stessa situazione finanziaria che avrebbe reso preferibile la modalità alternativa del conferimento.

L’orientamento analogico in parola non è, tuttavia, sostenibile in relazione alle S.p.a. aperte, a causa della diversa natura del socio finanziatore, che rappresenta un investitore consapevole del regolare e tempestivo rimborso del prestito effettuato a beneficio della partecipata.

Per quanto attiene la redazione del bilancio d’esercizio, i finanziamenti dei soci devono essere rappresentati nel passivo dello stato patrimoniale redatto in forma ordinaria, mediante l’iscrizione nell’apposita voce D.3) “Debiti verso soci per finanziamenti”, tra gli importi scadenti oltre l’esercizio successivo, salva diversa previsione sociale, soggetta comunque al principio di postergazione. Nel caso in cui la società predisponga il bilancio in forma abbreviata (articolo 2435-bis cod. civ.), i finanziamenti dei soci confluiscono, indistintamente, nella voce D) “Debiti”, sempre esponendo separatamente le somme dovute a medio-lungo termine. Ai fini della rappresentazione in bilancio, non rileva la natura fruttifera o meno dei finanziamenti dei soci, né l’eventualità che siano stati effettuati in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione: l’elemento discriminante è, invece, rappresentato esclusivamente dal diritto del socio alla restituzione delle somme erogate (Oic 28).

Nella nota integrativa, a prescindere dalla forma di bilancio adottata, dovranno essere indicati, oltre alle informazioni previste per la generalità dei debiti, i finanziamenti effettuati dai soci a beneficio della società (articolo 2427, comma 1, n. 19-bis, cod. civ.) ripartiti secondo la scadenza, con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori, suddivisi a seconda che la fonte della stessa sia automaticamente riconducibile alla legge oppure derivi dalla volontà dei soci e della partecipata (Oic 1).

L’eventuale e successiva rinuncia al credito, espressamente formulata dal socio, determina il passaggio del finanziamento dai debiti al patrimonio netto, in un’apposita riserva di capitale (A)VII) “Altre riserve, distintamente indicate”), ad esempio a titolo di copertura delle perdite, ovvero in previsione di un futuro aumento di capitale senza interessare il conto economico (Oic 28).

Fonte Euroconference del 9 gennaio 2017

 

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